Un viaggio rilassante insieme a Periagogè
Se lo
spirito di desertolento è quello di vivere il deserto lentamente, dandosi
il tempo di assaporarne i sapori ed i significati, questa volta abbiamo superato
noi stessi. Mai come questa volta abbiamo fatto così poca strada ed
abbiamo avuto così tanti momenti di sosta e di godimento.
Questa volta, infatti, non siamo andati in tante macchine alla scoperta del
deserto, ma ci siamo limitati a fare da supporto al gruppo Periagogè,
che ha percorso a piedi circa 60 km di deserto intorno ad El Mida.
Quale migliore occasione per provare a vivere il deserto in un modo diverso?
Così, dopo aver contattato il fido Salem, ed avere organizzato tutto,
non abbiamo resistito alla tentazione di andare anche noi, con la scusa, assolutamente
immotivata, che la nostra presenza avrebbe migliorato la qualità dell'organizzazione.
Il percorso
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La storia
Domenica 3 gennaio 2010 Al
mattino, verso le 7.30 sono arrivati Salem e l'autista con un pulmino
proveniente da Douz, dopo aver viaggiato tutta la notte. Quando abbiamo
visto caricare i bagagli sul pulmino siamo rimasti sconvolti: il bagaglio
che ciascuno aveva portato con se poteva essere sufficiente ad una permanenza
di un mese in un contesto post-nucleare. Qualcuno si era portato anche
una enorme valigia rigida con rotelle che, può andare bene in
un aeroporto, ma, forse, ha qualche problema a rotolare sulla sabbia.
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Lunedì 4 gennaio 2010 Finalmente
inizia la parte sostanziosa del viaggio. Salem e Fredj hanno accompagnato
il gruppo fino al grande cordone a sud di Ain Essebat, dove era già
in attesa Sallem con due dromedari. Il gruppo è partito con Sallem
ed i dromedari alla volta di un punto a sud di El Mida in cui si prevedeva
di montare il campo.
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Martedì 5 gennaio 2010 Quando, con
comodo, ci siamo svegliati, pensavamo di non trovare più il gruppo
dei camminatori, che si erano programmati una partenza all'alba, ma
evidentemente la malattia del deserto lento è contagiosa, e alle
nove erano ancora ancora tutti in giro a smontare tende e a stiracchiarsi,
senza alcuna fretta di iniziare il cammino.
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Mercoledì 6 gennaio 2010 La
vita nel deserto ti fa perdere la cognizione del tempo e quindi per
sicurezza, quando mi sono svegliato alla mattina, ho voluto controllare
il biglietto della nave. Con mia grande sorpresa, e delusione di Lorella,
mi sono reso conto che la nave a Tunisi non era l'indomani alle 23.30,
come ero stato convinto per tutto il viaggio, ma bensì alle 20.00,
il che significava che non era possibile passare un'altra notte nel
deserto, ma la sera saremmo dovuti andare necessariamente a Douz, per
avere poi una intera giornata per traversare la Tunisia fino a Tunisi.
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Giovedì 7 gennaio 2010 Un
normale viaggio verso La Goulette e poi la nave per Palermo.
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Spazio dedicato a Periagogè
Incontrarsi nel deserto di Giuseppe Cavion – a nome del gruppo Periagogè
D’improvviso tutti si ritrovano a guardare un orizzonte che non si sa dove finisce ma che sembra cominciare dentro ognuno di noi. Quando si parte per un viaggio nel deserto, ed è la prima volta che ci vai, ti scavano strani sentimenti, paure ed attese, curiosità e presunta enormità di fatica per ciò che ti aspetterà. Ma siamo insieme, in buona compagnia, e questo basta per essere pronti per domani. Una tonnellata di bagagli e 17 persone in una piccola corriera, la nostra guida Salem sorride ma è ansioso di partire, siamo a Tunisi, lontani dal suo deserto dove ha fretta di tornare. Dopo avere attraversato paesaggi che, come in un film di Wenders, sembrano evocare le loro storie, arriviamo nel deserto e Salem pare un’altra persona. Strana gente quella del deserto, con volti, occhi di chi non ha dimenticato le cose certe della vita. Noi li a cercare di capire se tutto è come ce lo aspettavamo, poi arriva la notte e con la notte un cielo denso, con mille stelle piantate come chiodi luminosi, vicine sembra, e questo ti fa capire quanto lontane sono… no, non era come me lo aspettavo quel cielo. Quando partiamo alla mattina, sono seduto nel cassone di una jeep che va veloce su una strada che non c’è, fa un freddo intenso, la mia mano gelata tiene stretta la sponda per evitare di essere sbalzato fuori, l’oasi si allontana, prima appariva grande e poi diventa una macchia più scura nell’orizzonte. Abbandoniamo le auto e conosciamo Sellhem, l’altra nostra guida, e i suoi due dromedari, uno perennemente arrabbiato e l’altro evidentemente stufo di fare per l’ennesima volta il facchino. Sellhem no, non è stufo, è sereno anche se con un passo che ci fa capire quante sono state le sue traversate del deserto. Parla una lingua sconosciuta, fatta di arabo, francese, spagnolo e di nessuna fretta. Quando ci dice qualche parola o disegna numeri sulla sabbia ognuno capisce una cosa diversa ma tutti capiscono qualcosa. Sellhem non ci sente come estranei che vengono da lontano e, percorrendo una linea a noi invisibile, ci porta tranquillo attraverso le infinite dune che ci avvolgono sempre più. Queste dune, queste linee che si intrecciano senza tregua, sono così tante che i nostri sguardi desistono dal volerle contenere tutte e si concentrano sui piedi e sulle impronte che lasciamo al nostro passaggio.
I dromedari sulle loro zampe che sembrano cuscini, ci aprono la pista, senza perdere l’occasione di mangiare qua e là qualche cespuglio. Sì, perché in questo deserto la vita non manca, piante che aspettano le poche gocce d’acqua che di tanto in tanto arrivano e le fanno fiorire e piccoli animali che lasciano tracce sulla sabbia come sculture fatte da un paziente artigiano che ama i dettagli. La sera si avvicina e ancora nulla di ciò che conosciamo si è fatto raggiungere dai nostri sguardi. Ed è proprio in un punto qualsiasi di quella indecifrabile distesa che Sellem ci dice che siamo arrivati al punto di ritrovo con Salem e si distende a terra. Improvvisamente emergono binocoli e sguardi come radar che scandagliano l’orizzonte, ma nulla che ci conforti si delinea davanti a noi. L’attesa è obbligata, chi mai potrebbe fare qualcos’altro? Quando i pensieri più ordinari affollano le nostre menti, due fari balzellando sulla sabbia, ci vengono incontro. Ecco Salem che ci ha trovato e quando ci raggiunge dice “seguite il sole, là troverete il campo!” Così è stato, e abbiamo scoperto che si può attraversare il deserto anche senza GPS. I giorni successivi, forti di una diversa fiducia nelle cose reali, attraversiamo il deserto parlando molto e tacendo molto, camminando a lungo, rispettando, senza inutili frenesie, i tempi di quel viaggiare. In quello spazio, in quella luce, con quel vento che sa di lontano, ognuno può rimanere in silenzio, in fondo siamo li per quello. Ma siamo lì anche per incontrarci fuori da quel rumore che ci accompagna nei nostri giorni ordinari. Come le stelle che brillano di più dove non c’è luce artificiale, le parole sono monete preziose che ci scambiamo con cautela e con piacere, in quel silenzio. E così il nostro cammino è un inanellarsi dei nostri dialoghi, dei nostri silenzi, come le orme dei nostri passi sulla sabbia, segnano linee impensate che si avvicinano, si incrociano e si allontanano, conservando però una precisa direzione. Oggi c’è vento forte, la sabbia fuma come il ghiaccio. Sellhem si ferma, vuole pregare, noi in silenzio ci fermiamo ed ognuno a modo suo si unisce a quella preghiera. Scena immobile, bellissima e piena di vita. Poi, all’improvviso e senza dire nulla a nessuno, Antonio parte, come colto da una visione: le dune lì sono le più alte che abbiamo incontrato e promettono viste indimenticabili se si accetta di salire le più grandi. Non resisto e mi lancio al suo inseguimento, lui continua a salire con lo sguardo di chi cerca il posto perfetto e sa che lo si può trovare. Ci seguono tutti, uno alla volta, e ognuno per sua volontà. La guida si accorge della “fuga” e preoccupato si mette sui nostri passi, ma siamo ormai lontani. Martino torna indietro correndo, vuole dirgli di aspettarci, che andiamo solo a dare un’occhiata. Sellhem, prima che Martino parli, lo accoglie chiedendo: “perché?”. Lui è la nostra guida, ci deve portare al campo, lui è responsabile di ognuno di noi. Il deserto è un immenso labirinto e può essere una prigione senza mura, il deserto è bellezza tremenda, ma anche pericolo e morte. Non si può sfidare. Poi capisce, sorride, si tranquillizza e siede all’ombra dei dromedari dicendo: “allora vi guardo da qui”. Quando arriviamo in cima, ogni promessa è mantenuta: il paesaggio è immenso e affascinante, di una indescrivibile bellezza, tutto si muove come un mare vivo, furioso e luminosissimo, continuo a guardarlo nella speranza che il suo ricordo non mi abbandoni. Man mano che arrivano gli altri compagni, ci abbracciamo fino a formare una lunga catena sul bordo dell’alta duna, mentre il vento forte ci spinge e ci fa ondulare. I volti di tutti sono coperti integralmente dai turbanti colorati, avvolti ogni mattina con l’aiuto paziente delle nostre guide beduine. Ora ne capiamo il senso e il valore: non avremmo potuto né respirare, né guardare. Rimaniamo a lungo abbracciati in silenzio su quella cresta, testimoni rispettosi e anime finalmente quiete che si lasciano accogliere da quell’immensità nel tentativo d’accoglierla. A malincuore torniamo, ma la gioia è tanta e ci tuffiamo nella sabbia, rotoliamo lungo le alte dune, prendendo velocità fino ad avere il capogiro. Come bambini ci sentiamo leggeri. Ci siamo alzati ogni mattina prima dell’alba per stare immersi da svegli, nel mistero che da sempre si compie nel passaggio dal buio alla luce. Abbiamo accolto ogni giornata con il silenzio, con il canto, con la preghiera. Ci siamo raccolti ogni sera al crepuscolo per salutare il passaggio dalla luce al buio nello stesso modo, fino a farci avvolgere dal silenzio, dal gelo e dall’oscurità totale nella quale una fiammella di candela bastava a rischiarare i volti ed un fuoco a riscaldarci, per poi andare a dormire in una serenità insospettabile. Una delle ultime mattine, dopo aver atteso ancora una volta insieme il sole sorgere dalle dune, un amico si è avvicinato e mi ha detto che aveva capito una cosa importante: era venuto fin qui per onorare un appuntamento. Una strana affermazione senza altre spiegazioni, forse perché non ce n’era bisogno, forse perché era convinto che ne avrei intuito il senso. Poi una volta a casa quel dialogo è ripreso, anche se per iscritto, come se fossimo ancora in quel luogo e in quel tempo: ho quindi compreso che in realtà non si era mai interrotto, c’era stato solo un lungo silenzio che ha lanciato in avanti quel contatto di un istante, legando la memoria al presente senza perdere il suo senso della continuità nel passato:“Oggi ho capito perché sono venuto fin qui. C’è sempre qualcosa di prezioso che ci attende da qualche parte, e non sempre dove e come si vuole. Ci sono molti appuntamenti dove la nostra speranza può mettere radici, ma sono spesso incontri persi o rifiutati, a causa della nostra stupidità e insoddisfazione, che ci vorrebbe sempre in un altrove, da un’altra parte, in un altro tempo, in un’altra vita. Incontri rifiutati forse perché crediamo di aver già capito tutto, o forse perché ci aspettiamo che accada qualcosa di stravolgente, grandioso, miracolistico. Nel frattempo perdiamo le occasioni migliori, non vediamo i segni più delicati ed evidenti, la bellezza nascosta nelle piccole cose. Che paradosso: un’evidenza che si nasconde. Eppure è così. A volte riusciamo a stare aperti per felicità o sofferenze inattese, piccole o grandi che siano, e con quella disponibilità cerchiamo condivisione, aiuto, dialogo, comprensione, ma poi ci rimettiamo a posto e rapidissimi torniamo alla convinzione di non aver più bisogno di nessuno come segno di autonomia, ma che in realtà è solo autosufficienza difensiva, perché nei fatti nega il valore di qualunque rapporto. Viviamo da smemorati, in un tempo meccanico, senz’anima, senza continuità, senza prospettive. Viviamo a frammenti, prendiamo gli altri a pezzettini a seconda dei nostri stati emotivi, e siamo pronti a dimenticare le cose importanti quando esse ci chiamano ad essere alla loro altezza, con continuità e non per un solo giorno di entusiasmo. Perciò non dimentico e non faccio finta di dimenticare, ma non vado nemmeno cercando scuse alla voglia di dimenticare. Viviamo nel rammarico per l’impossibilità di afferrare alcunché, disperati nella consapevolezza che ogni volta è l’ultima, e la vita ci sembra così scappare via. Rimpianti su rimpianti. Rabbie su rabbie. Nemici su nemici. Accuse su accuse. Io sto imparando ad essere fedele alla vita nella sua interezza, è un tentativo cha vale la pena di ogni fallimento, sto imparando ad andarle incontro e ad attendere fiducioso che mi risponda, anche quando tutto sembra procedere nella direzione opposta o quando nulla sembra accadere. Oggi so che sono venuto fin qui per onorare un appuntamento. Quindi niente di nuovo da capire, nulla da possedere che non avessi già. Niente da dimostrare, migliorare, aggiungere o da rifiutare. Solo un semplice appuntamento, un tener fede alla parola data, un tornare a casa sia come ospite, sia come ospitante. Ma come sempre, bisogna fare il movimento, impiegare il proprio volere per andare verso e rendersi disponibile in qualunque istante. Infine bisogna saper lasciar andare. Di questo sono felice e grato alla vita, perché l’ospite arriva inatteso e senza forzature. Con questa cosa torno con piacere nel mio quotidiano deserto, a ciò che mi appartiene, alla mia città, alla mia famiglia, ai miei affetti, al mio lavoro”. È il deserto, quella zona di frontiera che gli occhi della ragione vorrebbero sanare, rendere fertile ma gli occhi del mondo sanno che non ci si può rinunciare. È il ritrovarsi da soli così come si è, è l’essere con gli altri davanti ad un fuoco o dentro una grande tenda dove puoi cantare e ballare, è stare insieme con la solitudine di ognuno. E come diceva una vecchia canzone di Sergio Endrigo: “La solitudine che tu mi hai regalato, io la coltivo come un fiore”.
Arrivederci al prossimo viaggio… |
Le fotografie
Le foto di Lorella e Fausto Le foto di Valeria Le foto di Gaia Le foto di Periagogè (in fase di pubblicazione) |
I componenti della spedizione
Fausto
e Lorella |
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Periagogè |
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Sallem |
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Fredj
e Beshir |
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Salem
e Toumis |