Viaggio con Periagogè

Un viaggio rilassante insieme a Periagogè

Se lo spirito di desertolento è quello di vivere il deserto lentamente, dandosi il tempo di assaporarne i sapori ed i significati, questa volta abbiamo superato noi stessi. Mai come questa volta abbiamo fatto così poca strada ed abbiamo avuto così tanti momenti di sosta e di godimento.
Questa volta, infatti, non siamo andati in tante macchine alla scoperta del deserto, ma ci siamo limitati a fare da supporto al gruppo Periagogè, che ha percorso a piedi circa 60 km di deserto intorno ad El Mida.
Quale migliore occasione per provare a vivere il deserto in un modo diverso? Così, dopo aver contattato il fido Salem, ed avere organizzato tutto, non abbiamo resistito alla tentazione di andare anche noi, con la scusa, assolutamente immotivata, che la nostra presenza avrebbe migliorato la qualità dell'organizzazione.

Il percorso





La storia

Sabato 2 gennaio 2010

Dopo il solito viaggio, questa volta diurno, da Palermo a Tunisi, siamo arrivati in nottata in albergo a Sidi Bou Said dove Valeria e Valeria ci hanno aspettato nonostante l'ora tarda.


Cicogne in Sicilia

Tunisi a Palermo

Cormorano a caccia

Il gabbiano della pace

Balletto

Domenica 3 gennaio 2010

Al mattino, verso le 7.30 sono arrivati Salem e l'autista con un pulmino proveniente da Douz, dopo aver viaggiato tutta la notte. Quando abbiamo visto caricare i bagagli sul pulmino siamo rimasti sconvolti: il bagaglio che ciascuno aveva portato con se poteva essere sufficiente ad una permanenza di un mese in un contesto post-nucleare. Qualcuno si era portato anche una enorme valigia rigida con rotelle che, può andare bene in un aeroporto, ma, forse, ha qualche problema a rotolare sulla sabbia.
Abbiamo visto subito le espressioni preoccupate di Salem e l'autista, ma questi, con grande professionalità, non hanno battuto ciglio ed hanno caricato tutto con dovizia sul pulmino.
E' iniziato così il viaggio verso sud, con l'autista morto dal sonno, il pulmino stracarico, e noi appresso, in macchina, a fare da chiudi pista. Dopo una breve sosta doverosa ad El Jem ci siamo fermati al solito ristorante a sud di Skhira ed in serata abbiamo raggiunto Ksar Ghilan. E' sempre un piacere ritrovare gli amici che lavorano nell'oasi ed abbiamo passato la serata a cenare ed a chiacchierare bevendo te alla menta.


Dietro al pulmino

Salem

Scambi culturali

Scambi culturali

Il dromedario è a destra

Bella espressione

Dentro il pulmino

Che cos'è?

Espressione intelligente

Supermarket

Gli scappava

Supermarket

Belli

Il capo

Cucina con dispensa

Al ristorante

Summit al vertice

Quello si che è un 4x4

Il ristorante

Area di servizio

Tradizione e tecnologie

Verso Matmata

Verso Matmata

Verso Matmata

Case troglodite

Viaggiando nel nulla

Ingresso alla pipeline

Al negozio di Salem

Al negozio di Salem

Al negozio di Salem

Lunedì 4 gennaio 2010

Finalmente inizia la parte sostanziosa del viaggio. Salem e Fredj hanno accompagnato il gruppo fino al grande cordone a sud di Ain Essebat, dove era già in attesa Sallem con due dromedari. Il gruppo è partito con Sallem ed i dromedari alla volta di un punto a sud di El Mida in cui si prevedeva di montare il campo.
Noi abbiamo aspettato che Salem e Fredj tornassero all'oasi per partire insieme verso il campo. Abbiamo fatto un lungo giro da nord per seguire le piste per poi finalmente toccare la sabbia. L'atteggiamento con cui affrontavamo le dune (avevamo un sacco di tempo a disposizione) era talmente rilassato che io e Lorella ci siamo insabbiati ben due volte su dunette ridicole ed entrambe le volte siamo stati costretti a chiamare Salem per aiutarci. Verso le due del pomeriggio abbiamo raggiunto il punto CAMPO04 (32° 48' 57,6" NORD, 09° 27' 50,1" EST) ed abbiamo cominciato a montare il campo.
Non avevamo mai visto una organizzazione del genere: nel tempo che a noi è stato necessario a montare la nostra tendina Salem, Toumis, Fredj e Beshir hanno montato una tenda ristorante di almeno 5x5 metri, una tenda cucina 2x2, hanno raccolto la legna ed acceso il fuoco, scaricato una tonnellata di bagagli, cucinato il pane del deserto ed hanno iniziato a preparare la cena per la sera.
Verso le cinque del pomeriggio sono arrivati i camminatori, stanchi ma eccitati dalla bellezza di ciò che avevano visto e provato nel corso della giornata. Purtroppo non possiamo raccontarvi le loro sensazioni durante la traversata perché non eravamo con loro, ma hanno promesso che scriveranno un diario da pubblicare su questo sito.
Nel giro di pochi minuti il campo si è trasformato in un traffico di bagagli trasportati da tutte le parti e di tende montate qua e la alla rinfusa. La sabbia immacolata si è riempita di tracce, tra cui due strane, profonde, tracce parallele che, dopo qualche indagine, abbiamo scoperto essere provocate dal trascinamento della valigia con le rotelle.
Dopo avere goduto di uno splendido tramonto che ha incendiato le nuvole all'orizzonte, la sera abbiamo cenato comodamente (mai visto niente del genere nei nostri viaggi) nella tenda ristorante a base di brick e cous cous.


Si parte

Primo insabbiamento

Motociclisti impertinenti

Grazie Salem

Spettacolare

Spettacolare

Primi arrivi

I re magi

Effetti collaterali

Touareg

I re magi

Mal di denti?

Nomade

Sciando sulla sabbia

Qualche dolore?

Slalom

Eccoci!

Spartizione bagagli

Ciao

Valeria e Valeria

Non sembra felice

Sallem

Tenda ristorante

Deserto Lento

Il tramonto

Il tramonto

La pratica

La pratica

La pratica

La pratica

Martedì 5 gennaio 2010

Quando, con comodo, ci siamo svegliati, pensavamo di non trovare più il gruppo dei camminatori, che si erano programmati una partenza all'alba, ma evidentemente la malattia del deserto lento è contagiosa, e alle nove erano ancora ancora tutti in giro a smontare tende e a stiracchiarsi, senza alcuna fretta di iniziare il cammino.
Verso le 9.30, dopo avere caricato i dromedari (partecipanti non volontari al tour), lentamente, si sono avviati in direzione del pozzo di El Mida, verso ovest.
Abbiamo smontato il campo caricando tutte le attrezzature sul pickup di Salem e le valigie sul Toyota 100 (credo) di Fredj. Le guide, che ormai dopo anni di esperienza hanno imparato a non stupirsi di nulla sulle stranezze di noi occidentali, erano sconvolte dalla quantità di bagagli che stavano caricando sull'auto. Continuavano a scuotere la testa e a chiedersi quante settimane, in realtà, questi europei avevano intenzione di trattenersi in Tunisia. Dopo aver caricato tutto, siamo partiti anche noi alla volta del pozzo di El Mida, anche se questa non era la meta finale. Lungo la pista abbiamo visto da lontano il gruppo dei camminatori che procedevano lentamente e ordinatamente dietro ai dromedari, su una spianata sabbiosa ricca di vegetazione bassa, e mi è venuto da pensare alle carovane di una volta che attraversavano il deserto cariche di merci impiegando mesi per fare i loro viaggi. Dopo una mezzora abbiamo raggiunto il pozzo e dopo aver fatto provvista di acqua ci siamo diretti verso nord ed abbiamo raggiunto il punto CAMPO05 (32° 52' 04,2" NORD, 09° 21' 45,6" EST) verso le 11.30.
Questa volta, per evitare di fare i turisti, abbiamo evitato di iniziare a montare la nostra tenda ed abbiamo aiutato a montare tutte le strutture del campo. Inutile dire che nel tempo che io piantavo un picchetto, loro avevano già alzato una tenda, ma comunque abbiamo fatto la nostra porca figura.
Verso le quattro del pomeriggio abbiamo visto arrivare i primi eroi, per giunta di corsa, e nell'arco di una mezzora sono arrivati tutti, stanchi, ma felici di averla scampata anche questa volta. Sallem e i suoi due dromedari (che costituiscono un team così affiatato da essere quasi indistinguibili se non per il numero di zampe) si sono sistemati in un angolo, il gruppo dei podisti è andato su una duna vicina a fare le proprie pratiche e le guide hanno iniziato a preparare la cena. La sera è trascorsa cenando sotto la tenda e poi chiacchierando piacevolmente intorno al fuoco, sorseggiando del te verde.


Riunione preliminare

Sallem

Io non vengo!

Vestizione

In partenza

In partenza

Piccola nomade

Cane autoctono

Lungo il percorso

Il pozzo di El Mida

Fredj

Il pozzo

Toumis

Beshir

Neanche carico!

Montando il campo

Montando il campo

Montando il campo

Montando il campo

Il nostro campo

Il deserto

Il deserto

Arrivi in lontananza

Arrivi in lontananza

Arrivi in lontananza

Il primo

Strani esseri

Dai che ce la fate

Servizio ristorazione

Ancora un sforzo!

Sallem

Ormai ci siete!

Servizio ristorazione

Ci sono anche io!

Foto in posa

Il campo

Servono picchetti?

Non si usa così!

Sallem

Calzature da tracking

Il pane del deserto

Aspettando la cena

A cena nella tenda

Letture serali

Intorno al fuoco

Mercoledì 6 gennaio 2010

La vita nel deserto ti fa perdere la cognizione del tempo e quindi per sicurezza, quando mi sono svegliato alla mattina, ho voluto controllare il biglietto della nave. Con mia grande sorpresa, e delusione di Lorella, mi sono reso conto che la nave a Tunisi non era l'indomani alle 23.30, come ero stato convinto per tutto il viaggio, ma bensì alle 20.00, il che significava che non era possibile passare un'altra notte nel deserto, ma la sera saremmo dovuti andare necessariamente a Douz, per avere poi una intera giornata per traversare la Tunisia fino a Tunisi.
Quando già fai i piani per il ritorno, la vacanza è finita, ma comunque abbiamo cercato di far finta di niente e goderci la giornata.
Dopo avere smontato il campo, pronti per partire, ci siamo resi conto che nessuna delle macchine aveva sufficiente batteria per potere mettere in moto. Per fortuna quella di Salem aveva ancora un po' di carica e con la sua siamo riusciti a fare partire la mia e poi tutte le altre. Fredj aveva un problema proprio al motorino di avviamento e l'abbiamo fatta partire a strappo. Fin qui tutto facile perché eravamo ancora sul piano, ma il problema vero è sorto quando, in mezzo alle dune, in un passaggio parecchio difficile, la macchina di Fredj si è spenta. Abbiamo provato con le batterie ma non c'è stato niente da fare, e l'unica soluzione è stata quella di spostare con il verricello, a peso morto, l'auto su una piccola discesa e poi con le strops tirarla per farla partire a spinta. Per fortuna ci siamo riusciti, perché il rischio era quello di dovere chiamare i meccanici da Douz e quindi perdere un sacco di tempo.
Verso le 12.30 abbiamo raggiunto il punto CAMPO06 (32° 57' 06,5" NORD, 09° 23' 51,5" EST) dove abbiamo montato le tende. Il gruppo è arrivato prestissimo, verso le quattro del pomeriggio e, prima di montare le tende, si è ritirato su una duna vicina, in meditazione.
Verso le 16.30 abbiamo salutato tutti e, accompagnati da Salem fino alle piste, abbiamo raggiunto Douz in nottata. Per fortuna abbiamo trovato posto al Mouradì, e dopo avere riempito di sabbia la vasca da bagno e una splendida cena a base di agnello siamo andati a dormire.


In partenza

Smontando il campo

Lungo le dune

Fredj insabbiato

Spettacolo

Sempre il primo

Il riposo del guerriero

In arrivo

In arrivo

La giusta ricompensa

Comunicazioni non verbali

Lasciando il campo

In attesa di Salem

Salem insabbiato

Cercando la civiltà

Giovedì 7 gennaio 2010

Un normale viaggio verso La Goulette e poi la nave per Palermo.
Unica nota positiva, quando ci siamo fermati al solito ristorante vicino Skira, il proprietario mi ha riconosciuto e, avendo capito che passo spesso da lui con dei gruppi, mi ha servito un piatto di agnello e patate fritte in quantità mai viste e c'è voluto tutto il mio impegno per finirlo, anche per non darla vinta a Lorella che scommetteva che non sarei mai riuscito a mangiarlo.


Carriola su carriola

Arrivederci

Carico pericoloso

Sfida vinta

Molto affaticato

Spazio dedicato a Periagogè

Incontrarsi nel deserto

di Giuseppe Cavion – a nome del gruppo Periagogè


“Come vi sentite il giorno prima di addentrarvi nella sabbia?”. è Antonio Ricci che lo chiede. È lui che ci ha voluto portare qui, o meglio è lui che è voluto venire fin qui, invitando tutti noi.

D’improvviso tutti si ritrovano a guardare un orizzonte che non si sa dove finisce ma che sembra cominciare dentro ognuno di noi.

Quando si parte per un viaggio nel deserto, ed è la prima volta che ci vai, ti scavano strani sentimenti, paure ed attese, curiosità e presunta enormità di fatica per ciò che ti aspetterà. Ma siamo insieme, in buona compagnia, e questo basta per essere pronti per domani.

Una tonnellata di bagagli e 17 persone in una piccola corriera, la nostra guida Salem sorride ma è ansioso di partire, siamo a Tunisi, lontani dal suo deserto dove ha fretta di tornare.

Dopo avere attraversato paesaggi che, come in un film di Wenders, sembrano evocare le loro storie, arriviamo nel deserto e Salem pare un’altra persona. Strana gente quella del deserto, con volti, occhi di chi non ha dimenticato le cose certe della vita.

Noi li a cercare di capire se tutto è come ce lo aspettavamo, poi arriva la notte e con la notte un cielo denso, con mille stelle piantate come chiodi luminosi, vicine sembra, e questo ti fa capire quanto lontane sono… no, non era come me lo aspettavo quel cielo.

Quando partiamo alla mattina, sono seduto nel cassone di una jeep che va veloce su una strada che non c’è, fa un freddo intenso, la mia mano gelata tiene stretta la sponda per evitare di essere sbalzato fuori, l’oasi si allontana, prima appariva grande e poi diventa una macchia più scura nell’orizzonte.

Abbandoniamo le auto e conosciamo Sellhem, l’altra nostra guida, e i suoi due dromedari, uno perennemente arrabbiato e l’altro evidentemente stufo di fare per l’ennesima volta il facchino.

Sellhem no, non è stufo, è sereno anche se con un passo che ci fa capire quante sono state le sue traversate del deserto. Parla una lingua sconosciuta, fatta di arabo, francese, spagnolo e di nessuna fretta. Quando ci dice qualche parola o disegna numeri sulla sabbia ognuno capisce una cosa diversa ma tutti capiscono qualcosa.

Sellhem non ci sente come estranei che vengono da lontano e, percorrendo una linea a noi invisibile, ci porta tranquillo attraverso le infinite dune che ci avvolgono sempre più. Queste dune, queste linee che si intrecciano senza tregua, sono così tante che i nostri sguardi desistono dal volerle contenere tutte e si concentrano sui piedi e sulle impronte che lasciamo al nostro passaggio.


La sabbia liquida, sabbia che entra nelle scarpe, nei calzini e nei polmoni, accoglie indifferente i nostri passi, dimenticandoli pochi minuti dopo con l’aiuto del vento.

I dromedari sulle loro zampe che sembrano cuscini, ci aprono la pista, senza perdere l’occasione di mangiare qua e là qualche cespuglio. Sì, perché in questo deserto la vita non manca, piante che aspettano le poche gocce d’acqua che di tanto in tanto arrivano e le fanno fiorire e piccoli animali che lasciano tracce sulla sabbia come sculture fatte da un paziente artigiano che ama i dettagli.

La sera si avvicina e ancora nulla di ciò che conosciamo si è fatto raggiungere dai nostri sguardi.

Ed è proprio in un punto qualsiasi di quella indecifrabile distesa che Sellem ci dice che siamo arrivati al punto di ritrovo con Salem e si distende a terra.

Improvvisamente emergono binocoli e sguardi come radar che scandagliano l’orizzonte, ma nulla che ci conforti si delinea davanti a noi. L’attesa è obbligata, chi mai potrebbe fare qualcos’altro?

Quando i pensieri più ordinari affollano le nostre menti, due fari balzellando sulla sabbia, ci vengono incontro. Ecco Salem che ci ha trovato e quando ci raggiunge dice “seguite il sole, là troverete il campo!” Così è stato, e abbiamo scoperto che si può attraversare il deserto anche senza GPS.

I giorni successivi, forti di una diversa fiducia nelle cose reali, attraversiamo il deserto parlando molto e tacendo molto, camminando a lungo, rispettando, senza inutili frenesie, i tempi di quel viaggiare. In quello spazio, in quella luce, con quel vento che sa di lontano, ognuno può rimanere in silenzio, in fondo siamo li per quello.

Ma siamo lì anche per incontrarci fuori da quel rumore che ci accompagna nei nostri giorni ordinari. Come le stelle che brillano di più dove non c’è luce artificiale, le parole sono monete preziose che ci scambiamo con cautela e con piacere, in quel silenzio.

E così il nostro cammino è un inanellarsi dei nostri dialoghi, dei nostri silenzi, come le orme dei nostri passi sulla sabbia, segnano linee impensate che si avvicinano, si incrociano e si allontanano, conservando però una precisa direzione.

Oggi c’è vento forte, la sabbia fuma come il ghiaccio. Sellhem si ferma, vuole pregare, noi in silenzio ci fermiamo ed ognuno a modo suo si unisce a quella preghiera. Scena immobile, bellissima e piena di vita. Poi, all’improvviso e senza dire nulla a nessuno, Antonio parte, come colto da una visione: le dune lì sono le più alte che abbiamo incontrato e promettono viste indimenticabili se si accetta di salire le più grandi. Non resisto e mi lancio al suo inseguimento, lui continua a salire con lo sguardo di chi cerca il posto perfetto e sa che lo si può trovare. Ci seguono tutti, uno alla volta, e ognuno per sua volontà. La guida si accorge della “fuga” e preoccupato si mette sui nostri passi, ma siamo ormai lontani. Martino torna indietro correndo, vuole dirgli di aspettarci, che andiamo solo a dare un’occhiata. Sellhem, prima che Martino parli, lo accoglie chiedendo: “perché?”. Lui è la nostra guida, ci deve portare al campo, lui è responsabile di ognuno di noi. Il deserto è un immenso labirinto e può essere una prigione senza mura, il deserto è bellezza tremenda, ma anche pericolo e morte. Non si può sfidare. Poi capisce, sorride, si tranquillizza e siede all’ombra dei dromedari dicendo: “allora vi guardo da qui”. Quando arriviamo in cima, ogni promessa è mantenuta: il paesaggio è immenso e affascinante, di una indescrivibile bellezza, tutto si muove come un mare vivo, furioso e luminosissimo, continuo a guardarlo nella speranza che il suo ricordo non mi abbandoni. Man mano che arrivano gli altri compagni, ci abbracciamo fino a formare una lunga catena sul bordo dell’alta duna, mentre il vento forte ci spinge e ci fa ondulare. I volti di tutti sono coperti integralmente dai turbanti colorati, avvolti ogni mattina con l’aiuto paziente delle nostre guide beduine. Ora ne capiamo il senso e il valore: non avremmo potuto né respirare, né guardare. Rimaniamo a lungo abbracciati in silenzio su quella cresta, testimoni rispettosi e anime finalmente quiete che si lasciano accogliere da quell’immensità nel tentativo d’accoglierla. A malincuore torniamo, ma la gioia è tanta e ci tuffiamo nella sabbia, rotoliamo lungo le alte dune, prendendo velocità fino ad avere il capogiro. Come bambini ci sentiamo leggeri. Ci siamo alzati ogni mattina prima dell’alba per stare immersi da svegli, nel mistero che da sempre si compie nel passaggio dal buio alla luce. Abbiamo accolto ogni giornata con il silenzio, con il canto, con la preghiera. Ci siamo raccolti ogni sera al crepuscolo per salutare il passaggio dalla luce al buio nello stesso modo, fino a farci avvolgere dal silenzio, dal gelo e dall’oscurità totale nella quale una fiammella di candela bastava a rischiarare i volti ed un fuoco a riscaldarci, per poi andare a dormire in una serenità insospettabile. Una delle ultime mattine, dopo aver atteso ancora una volta insieme il sole sorgere dalle dune, un amico si è avvicinato e mi ha detto che aveva capito una cosa importante: era venuto fin qui per onorare un appuntamento. Una strana affermazione senza altre spiegazioni, forse perché non ce n’era bisogno, forse perché era convinto che ne avrei intuito il senso. Poi una volta a casa quel dialogo è ripreso, anche se per iscritto, come se fossimo ancora in quel luogo e in quel tempo: ho quindi compreso che in realtà non si era mai interrotto, c’era stato solo un lungo silenzio che ha lanciato in avanti quel contatto di un istante, legando la memoria al presente senza perdere il suo senso della continuità nel passato:“Oggi ho capito perché sono venuto fin qui. C’è sempre qualcosa di prezioso che ci attende da qualche parte, e non sempre dove e come si vuole. Ci sono molti appuntamenti dove la nostra speranza può mettere radici, ma sono spesso incontri persi o rifiutati, a causa della nostra stupidità e insoddisfazione, che ci vorrebbe sempre in un altrove, da un’altra parte, in un altro tempo, in un’altra vita. Incontri rifiutati forse perché crediamo di aver già capito tutto, o forse perché ci aspettiamo che accada qualcosa di stravolgente, grandioso, miracolistico. Nel frattempo perdiamo le occasioni migliori, non vediamo i segni più delicati ed evidenti, la bellezza nascosta nelle piccole cose. Che paradosso: un’evidenza che si nasconde. Eppure è così. A volte riusciamo a stare aperti per felicità o sofferenze inattese, piccole o grandi che siano, e con quella disponibilità cerchiamo condivisione, aiuto, dialogo, comprensione, ma poi ci rimettiamo a posto e rapidissimi torniamo alla convinzione di non aver più bisogno di nessuno come segno di autonomia, ma che in realtà è solo autosufficienza difensiva, perché nei fatti nega il valore di qualunque rapporto. Viviamo da smemorati, in un tempo meccanico, senz’anima, senza continuità, senza prospettive. Viviamo a frammenti, prendiamo gli altri a pezzettini a seconda dei nostri stati emotivi, e siamo pronti a dimenticare le cose importanti quando esse ci chiamano ad essere alla loro altezza, con continuità e non per un solo giorno di entusiasmo. Perciò non dimentico e non faccio finta di dimenticare, ma non vado nemmeno cercando scuse alla voglia di dimenticare. Viviamo nel rammarico per l’impossibilità di afferrare alcunché, disperati nella consapevolezza che ogni volta è l’ultima, e la vita ci sembra così scappare via. Rimpianti su rimpianti. Rabbie su rabbie. Nemici su nemici. Accuse su accuse. Io sto imparando ad essere fedele alla vita nella sua interezza, è un tentativo cha vale la pena di ogni fallimento, sto imparando ad andarle incontro e ad attendere fiducioso che mi risponda, anche quando tutto sembra procedere nella direzione opposta o quando nulla sembra accadere. Oggi so che sono venuto fin qui per onorare un appuntamento. Quindi niente di nuovo da capire, nulla da possedere che non avessi già. Niente da dimostrare, migliorare, aggiungere o da rifiutare. Solo un semplice appuntamento, un tener fede alla parola data, un tornare a casa sia come ospite, sia come ospitante. Ma come sempre, bisogna fare il movimento, impiegare il proprio volere per andare verso e rendersi disponibile in qualunque istante. Infine bisogna saper lasciar andare.

Di questo sono felice e grato alla vita, perché l’ospite arriva inatteso e senza forzature. Con questa cosa torno con piacere nel mio quotidiano deserto, a ciò che mi appartiene, alla mia città, alla mia famiglia, ai miei affetti, al mio lavoro”.

È il deserto, quella zona di frontiera che gli occhi della ragione vorrebbero sanare, rendere fertile ma gli occhi del mondo sanno che non ci si può rinunciare. È il ritrovarsi da soli così come si è, è l’essere con gli altri davanti ad un fuoco o dentro una grande tenda dove puoi cantare e ballare, è stare insieme con la solitudine di ognuno.

E come diceva una vecchia canzone di Sergio Endrigo: “La solitudine che tu mi hai regalato, io la coltivo come un fiore”.


Un grazie di cuore a Deserto Lento per l’aiuto nell’organizzazione e l’assistenza nel deserto, per la cura e la disponibilità offerta al nostro gruppo e per averci permesso di conoscere persone straordinarie. Grazie quindi a Fausto e Lorella per averci accompagnato con la loro presenza discreta, appassionata e sincera e per la condivisione di magici momenti intorno al fuoco.

Arrivederci al prossimo viaggio…

Le fotografie

Le foto di Lorella e Fausto

Le foto di Valeria

Le foto di Gaia

Le foto di Periagogè (in fase di pubblicazione)

 

I componenti della spedizione

Fausto e Lorella
Periagogè
Sallem
Fredj e Beshir
Salem e Toumis

www.desertolento.it